Sindrome da allettamento: che cos’è e come prevenirla

16 dicembre 2022 Salute e prevenzione
sindrome da allettamento

La sindrome da allettamento - che si può anche definire sindrome da immobilizzazione o sindrome ipocinetica - è una condizione non rara negli anziani costretti a letto per qualche motivo. Consiste in un’assente o ridotta capacità di movimento, che compare nell’arco di qualche giorno oppure peggiora in modo progressivo. Non è corretto considerarla una malattia vera e propria, dal momento che è la conseguenza di altre patologie, quasi sempre fisiche o neurologiche, che obbligano a restare a letto. 

È molto importante prevenire questa condizione oppure, se già presente, mettere in atto trattamenti adeguati per restituire alla persona una condizione di mobilità soddisfacente. In questo articolo, quindi, vedremo nel dettaglio cos’è la sindrome da allettamento, approfondiremo le cause che la determinano, le misure preventive per evitarla e le complicanze che possono comparire se non viene affrontata nel modo giusto, informazioni utili per tutti coloro che si occupano dell’assistenza di un anziano allettato, come caregiver familiari, badanti e OSS.  

Che cosa si intende con sindrome da allettamento o da immobilizzazione?

Nelle persone di ogni età, ma soprattutto negli anziani, una lunga permanenza a letto può causare un decadimento fisico, cognitivo e psicologico. La sindrome da allettamento è infatti una progressiva perdita della mobilità, con un peggioramento delle condizioni di salute generali, ad esempio a carico della circolazione sanguigna, delle ossa, del tono muscolare, dell’umore e delle capacità cognitive. In un anziano allettato, inoltre, a conseguenze dell’allettamento come debolezza muscolare, depressione e disturbi circolatori, si può accompagnare anche una perdita di massa ossea, con maggiore rischio di cadute e fratture. 

L’immobilità, come vedremo nel prossimo paragrafo, è spesso causata da patologie che comportano una permanenza continua a letto. Quando la malattia o il malessere che costringevano a una scarsa mobilità sono curati, però, è bene cercare di riprendere una vita attiva: il paziente non dovrebbe restare a letto se la sua situazione non lo richiede realmente. Assecondare la sensazione di debolezza e non muoversi senza che vi sia una reale necessità, infatti, priva la persona di stimoli importanti, indebolisce e può causare depressione. Tutto questo, di conseguenza, comporta un peggioramento delle condizioni psicofisiche generali. 

Invece, se la permanenza a letto fa parte della cura della patologia in sé, è importante mettere in atto strategie di supporto per evitare la formazione di piaghe da decubito e per favorire momenti che prevedano una minima attività. Per esempio può essere utile consumare i pasti a tavola, guardare la televisione in posizione seduta, conversare per qualche tempo con i familiari. 

Sindrome da allettamento: da cosa è causata?

Le ragioni che portano alla sindrome da allettamento possono essere diverse. Alcune consistono in patologie che limitano o impediscono il movimento fisico, obbligando a restare a letto; per questo si parla anche di “sindrome da decubito”, che indica proprio una condizione prolungata di immobilità. In altri casi, invece, può trattarsi di situazioni psicofisiche e sociali che portano la persona a stare a letto per molto tempo nell’arco della giornata. Vediamo, nel dettaglio, entrambe le casistiche.

Patologie fisiche o neurodegenerative

Di questo gruppo possono far parte: 

  • malattie a carico delle ossa o patologie reumatiche – sia di tipo acuto sia croniche – come artrosi in fase avanzata, osteoartrite, fratture;
  • cardiopatie, ossia malattie che coinvolgono il cuore e le sue arterie;
  • malattie neurologiche, sia acute sia degenerative, come ictus, dolori neuropatici, Parkinson, malattia di Alzheimer e demenze in generale;
  • problemi dell’apparato respiratorio, come enfisema o BPCO (ossia broncopneumopatia cronica ostruttiva);
  • tumori in corso di trattamento o in fase avanzata;
  • interventi chirurgici che comportano immobilità per un certo periodo;
  • forme febbrili ripetute, influenzali o parainfluenzali per le quali la persona deve restare a letto.

In alcuni casi, possono essere presenti più patologie contemporaneamente. Un anziano, ad esempio, può soffrire sia di artrosi sia di problemi di cuore oppure di enfisema e di demenza. La comorbilità – ossia la presenza di più malattie croniche – è un problema in costante aumento, che procede in parallelo con l’invecchiamento della popolazione, come illustra l’Osservatorio sulla salute dell’Università Cattolica di Roma a proposito delle malattie croniche in Italia: secondo l’Osservatorio, infatti, nel 2028 i malati multi-cronici saranno circa 14 milioni, con una sempre maggiore necessità di assistenza.

Situazioni psicologiche e sociali

Possono essere presenti anche altre condizioni, oltre a quelle fisiche dovute a malattie, che, se non vengono affrontate, possono comportare una progressiva perdita di stimoli al movimento, causando un deterioramento psicofisico che, poco alla volta, finisce per far trascorrere più giornate a letto, o comunque aumentare l’immobilità della persona. Il risultato è una diminuzione progressiva della capacità di moto. 

Circostanze in grado di causare una situazione simile sono, ad esempio:

  • un ambiente domestico inadeguato o dove non siano stati previsti interventi per rendere la casa più sicura per l’anziano: in particolare, la presenza di barriere architettoniche – come scale, gradini, dislivelli – può limitare la mobilità e l’autonomia;
  • l’invecchiamento: questo processo tende a portare con sé una riduzione della capacità di movimento, cosa che può spingere a passare più tempo in casa, seduti o a letto;
  • la solitudine o la mancanza di supporto sociale possono causare un’assenza di stimoli a uscire e a condurre una vita attiva;
  • anche la depressione può essere causa di una progressiva sindrome da immobilizzazione: una persona depressa, infatti, tende a sentirsi stanca, demotivata, spesso perfino “malata”, e questo la porta a restare a casa o a letto. 

Quali sono le conseguenze della sindrome da immobilizzazione?

L’immobilità prolungata causa debolezza in ciascuno di noi. Negli anziani allettati, però, le conseguenze possono essere molto più gravi. Ecco alcuni dei problemi che possono verificarsi e che coinvolgono vari organi e apparati.

Apparato muscolare

La forza muscolare diminuisce tanto più rapidamente quanto meno ci si muove. Il discorso è valido soprattutto per una persona anziana che, a causa dell’invecchiamento, tende fisiologicamente a perdere massa muscolare. La riduzione della forza riguarda soprattutto gli arti inferiori e questo incide sulla sicurezza nella deambulazione e sul rischio di cadute nella terza età.

Ossa e articolazioni

L’inattività causa nell’anziano una notevole perdita di massa ossea, soprattutto a carico di colonna vertebrale, bacino e arti inferiori. Se è già presente una condizione di osteoporosi, l’indebolimento osseo è ancora più rapido e questo aumenta il rischio di fratture. Allo stesso tempo, le articolazioni diventano più rigide sia per la mancanza di movimento sia per l’assenza di carico.

Sistema gastrointestinale

L’assenza di movimento e di stimoli può portare a mancanza di appetito e, di conseguenza, a un insufficiente approvvigionamento di sostanze necessarie alla crescita muscolare, come le proteine. Possono inoltre verificarsi condizioni di stitichezza che aumentano ulteriormente l’inappetenza.

Apparato cardiovascolare e sistema respiratorio

L’immobilità prolungata rende il sangue più denso e rallenta la circolazione. Questo espone al rischio di trombosi venosa profonda. Si tratta della formazione di coaguli di sangue (i trombi, appunto) sulle pareti dei vasi sanguigni, che possono staccarsi, entrare in circolo e ostruire una vena o un’arteria. 

Per quanto riguarda il sistema respiratorio, stare sempre distesi comporta una distensione dei bronchi e questo favorisce l’accumulo di secrezioni con conseguente ristagno. Il rischio, in questo caso, è di incorrere in bronchiti e polmoniti.

Apparato urinario e salute della pelle

Una persona che sta a letto a lungo può avere anche problemi di incontinenza: la posizione sdraiata, infatti, rende più difficile il controllo dei muscoli della vescica.

Per quanto concerne la salute della pelle, invece, ricordiamo che la posizione seduta o sdraiata a letto può provocare la formazione di piaghe o ulcere da decubito, vere e proprie ferite nelle zone della pelle in cui si verifica una pressione contro il materasso sempre nello stesso punto: questo comporta uno sfregamento continuo e la pressione impedisce il corretto afflusso di sangue e ossigeno alla cute. Un’assistenza adeguata, che comprenda anche un’alimentazione appropriata per le piaghe da decubito svolge un ruolo fondamentale nel trattamento di questo problema.

Tono dell’umore

In una persona allettata possono verificarsi anche conseguenze psico-emotive, come calo dell’umore, tristezza, perdita di interessi. Questa situazione tende a spingere ulteriormente all’immobilità, all’inappetenza e alla scarsa cura di se stessi.

Come prevenire la sindrome da allettamento?

Quando un anziano è a letto per la cura di una patologia è essenziale trattare le malattie sottostanti in modo adeguato, al fine di ridurre i sintomi che causano la scarsa mobilità, ad esempio il fiato corto nelle patologie respiratorie, oppure la rigidità nei problemi muscolari e articolari. Inoltre, è importante aiutarlo a recuperare progressivamente autonomia motoria, per quanto possibile. La capacità di movimento, infatti, può migliorare non solo lo stato di salute globale ma anche la qualità della vita. 

L’approccio deve essere multidisciplinare, e comprendere dunque varie figure tra cui il medico curante, il caregiver, i familiari ed eventuali altri professionisti  esterni di supporto. L’anziano, in ogni caso, va sempre coinvolto nelle decisioni da prendere perché è il protagonista attivo del suo percorso di recupero.

Ecco qualche indicazione utile per una ripresa più rapida:

  • appena possibile –  dunque quando la persona se la sente e se il medico sostiene che può farlo – è bene favorire l’alzata dell’anziano senza lasciarlo a letto più del necessario;
  • Quando si trova a letto, bisogna accertarsi che l’assistito assuma una postura corretta, che potrà essere suggerita dal medico o dall'infermiere. La posizione giusta, infatti, può variare anche in base alla patologia (per esempio, con le gambe sollevate se ha problemi circolatori, su un fianco se non respira bene, e così via).  
  • È importante invitare la persona a cambiare la posizione a letto ogni due ore circa, se possibile anche durante la notte. In questo va aiutata, se non riesce a farlo da sola, assicurandosi, di volta in volta, che la postura garantisca una buona circolazione del sangue, che il paziente possa respirare senza difficoltà e che sia comodo.
  • In caso di allettamento prolungato o di una ripresa più lenta, bisogna utilizzare ausili che prevengono la formazione delle piaghe da decubito, come materassi, archetti alzacoperte, poggiapiedi. La biancheria da letto, inoltre, va cambiata con regolarità, accertandosi che non sia bagnata perché questo favorisce la macerazione della pelle.
  • Sempre per favorire il benessere della pelle, se l’anziano resta a letto a lungo, è bene ispezionare la cute ogni giorno per accertarsi che non compaiano lesioni e screpolature. Questo rischio si evita mantenendo la cute idratata con l'applicazione regolare di prodotti idratanti ed emollienti.
  • È essenziale assicurare all’assistito una corretta nutrizione, adeguata alle sue esigenze alimentari, proponendo piatti gustosi e curati nella presentazione, che possano stimolare l’appetito. Inoltre, è fondamentale accertarsi che assuma una quantità sufficiente di liquidi: sarà il medico curante a fornire indicazioni in tal senso.
  • È bene adattare l’ambiente alle necessità della persona, ad esempio rimuovendo ostacoli o barriere che possano costituire una limitazione alla sua autonomia.
  • Sarebbe opportuno aiutare l’anziano a compiere alcuni semplici esercizi di ginnastica, anche stando a letto, come quelli suggeriti dagli esperti.

Altre indicazioni per migliorare la qualità di vita

Oltre alle indicazioni  che abbiamo appena visto, si possono seguire alcune pratiche di assistenza e di comportamento consigliate da infermieri e personale specializzato, come descritto in un documento dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste. Queste possono essere messe in atto dai familiari, oltre che da professionisti con una preparazione specifica, in grado di fornire un supporto alla famiglia in particolari momenti della giornata o della notte. 

Per evitare che un anziano sia tentato di restare troppo a lungo a letto è opportuno:

  • incoraggiarlo a svolgere piccoli movimenti in autonomia come pettinarsi, nutrirsi da solo, se è in grado di farlo, camminare in casa: questi semplici gesti sono importanti per l’autostima e la percezione positiva di sé;
  • stargli accanto il più possibile con presenza e affetto, assicurandogli compagnia per buona parte della giornata;
  • offrire stimoli che possano sollecitarlo, per esempio la lettura di un libro o la visione di un film insieme in poltrona;
  • coinvolgerlo in attività che stimolino la manualità.

Lavorare con PrivatAssistenza come OSS, infermieri e badanti

La cura di un anziano, per prevenire la sindrome da allettamento o per il suo recupero, deve avvenire in modo corretto e competente per restituire alla persona un maggior livello di autonomia e benessere. Non sempre i familiari hanno le possibilità e la preparazione per svolgere questa mansione da soli, per questo una soluzione utile può essere affidarsi a realtà con competenze specifiche, come la rete PrivatAssistenza, con oltre 200 centri su tutto il territorio nazionale. 

PrivatAssistenza è sempre alla ricerca di personale specializzato come OSS, badanti o infermieri, che possano garantire servizi di assistenza agli anziani, ai malati e ai disabili, assicurando una risposta concreta a ogni tipo di esigenza.

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