Figli badanti, storie di «eroi per casa». Un milione ad assistere i genitori

6 aprile 2018
Figli badanti, storie di «eroi per casa». Un milione ad assistere i genitori

Il loro numero è destinato a crescere perché viviamo più a lungo e invecchiamo peggio. Spesso devono occuparsi anche dei loro figli. Il geriatra: «Spesso diventano i nostri secondi pazienti». Sono a rischio depressione ma non sempre accettano un aiuto.
Eroi per casa. Figli che prendono un pezzo della loro vita e lo regalano ai genitori ormai anziani. Come si faceva una volta, quando i vecchietti in casa erano la regola e nessuno la metteva in discussione. Come si fa ancora adesso, in silenzio e incastrando tutti gli impegni di una vita che nel frattempo è diventata più complicata. Sono storie di amore e dedizione quelle dei parenti badanti. Storie di sacrifici e rinunce, a volte di eroismo, spesso di sofferenza. In silenzio anche questa, ma sarebbe meglio di no.

Un milione
Le stime dicono che sono almeno un milione gli italiani che dedicano un pezzo importante delle loro giornate (e nottate) ad assistere parenti non più autosufficienti. Un numero simile a quello delle badanti di professione, tra regolari e in nero. Seduti in salotto o vicino al letto, passano ore e ore con i genitori che la malattia o anche solo l’età ha fatto tornare bambini. Cucinano, li aiutano a lavarsi, a vestirsi, controllano le medicine, li accompagnano dal dottore. Proprio come un tempo quella mamma e quel papà facevano con loro. Uno scambio di ruoli, quasi un cerchio che si chiude.

Saranno sempre di più
Sono tanti gli eroi per casa. E saranno sempre di più. Alcune ragioni sono intuitive: la vita media si sta allungando, ormai in Europa siamo secondo soli alla Spagna. Altre sono più sottili, ma forse più importanti. Il punto decisivo è la speranza di vita senza limitazioni nelle attività. Traduzione: per quanti anni possiamo vivere senza l’aiuto degli altri una volta superati i 65 anni? In Italia non arriviamo a 8 anni, uno in meno rispetto alla media europea. Quasi la metà rispetto a Paesi come la Svezia e la Danimarca, molto meno anche di Malta e Irlanda che non hanno certo un welfare scandinavo. Viviamo di più, e di questo siamo contenti. Ma invecchiamo peggio, e di questo non ci occupiamo abbastanza. Il risultato è che aumentano le persone da assistere. Solo i malati di Alzheimer superano ormai in Italia quota 600 mila. Mentre sono sempre meno le famiglie che riescono a permettersi una badante fissa, soprattutto se in regola.

Una questione di sopravvivenza
Il costo di una badante in regola, stipendio e contributi, si aggira sui 15 mila euro l’anno. Quasi nulla può essere scaricato dalle tasse a differenza di quello che avviene in altri Paesi. Senza una buona pensione o un ottimo stipendio non è facile far quadrare i conti. «Per questo chiediamo di poter dedurre dalle tasse l’intero costo sostenuto per le badanti» dice Teresa Benvenuto, segretaria di Assindatcolf, l’Associazione dei datori di lavoro domestico. L’operazione consentirebbe alle famiglie di recuperare 5 mila euro l’anno. Ma il vento della politica soffia in direzione opposta, verso una riduzione degli sconti fiscali non verso un aumento. E con il lavoro che va come va, sono molti i figli che il badante lo fanno non solo per scelta ma anche per necessità. Almeno incassano quell’indennità di accompagnamento, poco più di 500 euro al mese, che si perde in caso di ricovero in un istituto. Non è solo una storia di amore, non è solo un cerchio che si chiude. A volte è anche una questione di sopravvivenza.

Il secondo paziente
Che sia una scelta o una necessità, il figlio badante è un lavoro difficile e con le sue malattie professionali. Simone Franzoni è un geriatra di Brescia che si è spesso occupato della questione: «Ogni volta che prendiamo in carico un anziano non autosufficiente seguito a tempo pieno da un familiare, finiamo per avere non uno ma due pazienti». Spesso il figlio badante finisce in depressione. Specie se si tratta, termine crudo ma efficace, di un «assistente sandwich»: che deve badare, cioè, non solo ai genitori anziani ma anche ai figli ancora in casa. A parlare sono i dati di uno studio fatto in Emilia- Romagna dall’associazione «Anziani e non solo». Dice che in due casi su tre il parente badante ha almeno un sintomo tra insonnia, crisi di collera o di pianto, e stanchezza cronica. La metà dice di aver bisogno di aiuto. E forse sono quelli messi meglio, perché anche gli altri avrebbero bisogno di una mano. Ma non se ne accorgono oppure non lo vogliono ammettere.

La contraddizione emotiva
«È il coinvolgimento emotivo che ti massacra» dice il dottor Franzoni, il geriatra di Brescia che ci ha parlato del secondo paziente. Passi tutto il tuo tempo con una persona che ha bisogno di un’attenzione costante e che spesso non ti riconosce più. Devi elaborare il distacco da tuo padre o da tua madre proprio quando la sua presenza è tornata continua, magari dopo anni di distacco. Una contraddizione emotiva troppo forte. Anche per un eroe. Il premio Nobel per la medicina Elizabeth Blackburn ha calcolato che i parenti badanti hanno un’aspettativa di vita tra i 9 e i 17 anni inferiore alla media. E alcune ricerche condotte in Inghilterra dicono che il 10% dei nostri eroi per casa chiede il part time mentre addirittura il 66% pensa di lasciare il lavoro. Tutti numeri contenuti nella relazione di un disegno di legge presentato un anno e mezzo fa al Senato. Un testo, firmato da parlamentari di diversi partiti, che propone di riconoscere il lavoro dei parenti badanti, obbligando lo Stato a versare i contributi per la loro pensione. La proposta è rimasta ferma, chissà se andrà mai avanti.

Consigli per non crollare
Nel frattempo non resta che armarsi di coraggio. Negli Stati Uniti sono da tempo consapevoli del problema, al punto da aver creato una parola nuova per i parenti badanti: caregivers . I consigli della «National Family caregivers association» sono riducibili a un unico principio: state facendo una cosa bella e importante ma non annullate la vostra vita. Altrimenti le cose andranno peggio sia per voi sia per la persona cara che state assistendo. Una delle prime associazioni è stata fondata da Rosalynn Carter, moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy. Lei il problema l’aveva scoperto da bimba, quando suo padre si ammalò di leucemia. Dice Rosalynn che al mondo ci sono quattro tipi di persone: «Quelli che si sono presi cura di qualcuno, quelli che lo stanno facendo, quelli che lo faranno e quelli che ne avranno bisogno». Tocca a tutti, prima o poi. Per questo è importante chiedere un mano. Per aiutare il proprio caro, se uno può. Per aiutare sé stessi, se uno non ce la fa. Eroi sì, ma con giudizio.

Fonte: Corriere.it

 

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