Figli che curano genitori anziani. Una relazione difficile

5 giugno 2014
 Figli che curano genitori anziani. Una relazione difficile

Domanda:   «Dott.ssa, arrivata alla soglia dei 55 anni, mi trovo in una situazione complicata. Mia madre ottantenne a seguito di una frattura al femore, non si è più ripresa. Sono entrata in un giro di badanti e di cure e la mia vita è di botto cambiata. Le chiedo aiuto perché mi sento profondamente sbagliata. Vorrei proteggere mia madre e urlare al tempo stesso. Abbracciarla e fuggire il più lontano possibile da lei. Mi chiedo dove sono finiti i miei progetti e non mi sento in diritto di farmi questa domanda»
Laura, 55 anni.

Risposta: Nel lavoro di psicoterapeuta mi capita sempre più di frequente di incontrare figli nella situazione di Laura. Oggi si vive molto più a lungo. Una conquista strabiliante, ma certo non priva di conseguenze complesse. Fra queste, quella di gestire il carico dei congiunti che invecchiando, perdono autonomia. Nel nostro Paese, un carico prevalentemente delegato alla famiglia. La necessità di cure a molteplici livelli, sanitario, medico e assistenziale, vede la crescita esponenziale di figli e ancor più di figlie, coinvolti sulla scena di una relazione difficile, inedita per la sua durata, incerta nella sua declinazione, tendenzialmente lunga. Sempre più donne, arrivate alla soglia dei cinquanta-sessantanni si rivolgono allo psicoterapeuta su questi temi. Sentimenti depressivi legati al dolore, al senso di colpa, alla sensazione di impotenza per una situazione che da iniziale emergenza, diviene tendenzialmente cronica, rischiano di produrre uno stato di stress cronico e rendere sempre meno lucide anche le decisioni da prendere. Solo qualche decennio fa la morte dei propri genitori avveniva mediamente entro un' età oltre la quale si parlava di eccezione.

Oggi, diversamente, l'approssimarsi della perdita del genitore, pur ineluttabile, è indefinitamente procrastinata nel tempo. Ma quali emozioni affrontano i figli che si prendono cura dei genitori malati per periodi protratti? La condizione psicologica in cui si trovano appare nuova rispetto a qualche decennio fa, difficile e per certi aspetti paradossale. È una condizione che richiede sostanzialmente di elaborare la prossimità del distacco in una condizione di presenza continua, resa sempre più stringente dal crescente bisogno. Una condizione in cui l'inevitabile necessità di avviarsi alla separazione, si snoda viceversa in un coinvolgimento progressivo legato al progredire della perdita di autonomia. L'invecchiamento, la malattia e la morte dei genitori, oltre al dolore in sé, sollevano temi importanti per i figli. Ad esempio quelli relativi al contatto con il proprio stesso invecchiamento, all' approssimarsi di un avvicendamento di ruolo e al passaggio inevitabile in prima linea. Temi da sempre cruciali , ma che oggi si declinano in una situazione profondamente mutata. Richiedono infatti di essere elaborati non già in uno spazio che si approssima a essere lasciato vuoto, ma piuttosto all'interno di un contatto crescente faticoso e sofferto.

Diventa difficile in questo contesto tramutare il dolore in ricordo, conservare dentro sé gli aspetti preziosi della persona amata mentre si assiste al suo declino, abbandonare una condizione filale quando il posto è ancora occupato, rassegnarsi all'impossibilità di riparare ciò che non ha funzionato come si sarebbe voluto. Confusione, dolore, impotenza, rabbia, senso di colpa, rischiano al contrario in questo contesto di prendere piede, provocando forte malessere e un confusione di ruoli. Non è raro osservare in tal senso figli che mentre essi stessi invecchiano, faticano a uscire dalla condizione filiale, o altri diventare addirittura genitori dei propri genitori prima ancora di averne occupato il posto. La necessità di una presenza e di un accudimento sempre maggiori, rendono sostanzialmente confusi e poco definiti i processi di distacco e rischiano di lasciare poco spazio alla rassegnazione e alla pacificazione che consente di procedere nella propria esistenza.

È quindi una condizione priva di potenzialità quella della relazione di cura dei genitori anziano malati? I figli che ho incontrato in consultazione, hanno spesso raccontato di una situazione molto difficile, ma anche di momenti di contatto e di commozione profondi , mai esperiti in precedenza. È stato talvolta possibile riscoprire, in prossimità della fine una tenerezza inattesa, una possibilità di reciproco perdono, prima impensabili. Questi appaiono gli aspetti preziosi che possano costituire le nuove potenzialità di una relazione di cura destinata a durare a lungo. Una relazione in fondo che lascia più tempo per ritrovarsi, prima di concludersi. Ma questi aspetti possono ampliarsi solo se il carico dell'anziano che perde autonomia, viene condiviso in modo esteso e sostanziale dalla comunità sociale, in tutti i suoi aspetti medico, assistenziale, psicologico e sociale. In una gestione solitaria di una situazione così difficile, il troppo amore e la troppa colpa verso chi si ama, rischiano diversamente di rimettere in discussione gli equilibri faticosamente costruiti in una vita.

Fonte: corriere.it
A cura di: Silvia Lo Vetere
Vivo a Milano e lavoro come psicologa - psicoterapeuta presso la Fondazione Minotauro dove mi occupo principalmente di consulenze e psicoterapie in particolare legate agli snodi del ciclo di vita. Ad esempio il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, la crisi di mezza età e l'ingresso nella fase di invecchiamento. In quest'ultima area mi occupo in particolare di consulenze psicologiche ai familiari che curano anziani che perdono autonomia.
www.silvialovetere.it

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