Anziani e solitudine: dal co-housing una soluzione possibile

16 luglio 2020 Studi e ricerche
Anziani e solitudine: dal co-housing una soluzione possibile

La solitudine si sa, colpisce tante persone, ma in maniera prevalente gli anziani che, soprattutto nel periodo estivo, spesso si ritrovano a dover vivere isolati dal resto della famiglia.
Tante soluzioni sono state introdotte negli anni, dall’assistenza telefonica, a quella domiciliare a cura di associazioni e servizi sociali, ma ce n’è una che, in maniera tanto semplice quanto intelligente, potrebbe risolvere il problema alla base: il cosiddetto silver co-housing.

Il termine inglese “co-housing”, tradotto letteralmente significa “co-alloggiamento” e, in pratica, si riferisce alla sempre più diffusa pratica della condivisione di un’abitazione con altre persone, esterne al proprio nucleo familiare. Il termine “silver”, invece, significa argento ed è riferito al colore dei capelli di nonne e nonni.

In cosa consiste il co-housing

Questo nuovo paradigma abitativo prevede la co-abitazione degli anziani in case in grado di garantire la presenza di spazi privati, come le camere da letto, e di spazi comuni, come la cucina e il salotto.

I vantaggi di questa soluzione sembrerebbero essere tanti e di diversa natura:

  • Abbassamento del costo di affitto e bollette
  • Riduzione delle spese per interventi assistenziali
  • Possibilità per gli anziani di farsi compagnia reciprocamente
  • Possibilità di conoscere a fondo nuove persone e instaurare con loro un sano rapporto di amicizia
  • Benefici fisici e psicologici dovuti alla socialità

La coabitazione permetterebbe quindi agli anziani di intraprendere un nuovo percorso di vita, caratterizzato dalla condivisione dei pasti, dalla collaborazione per la pulizia della casa, dal racconto della propria vita e dalla conoscenza reciproca.

Linda Lanciotti, che ha da poco spento 100 candeline, è l’italiana più anziana a vivere in una soluzione di co-housing, condividendo la casa con altri 5 anziani e 2 badanti, ed è una validissima testimone della bontà di questa soluzione abitativa. Il fatto di essere vedova e non autosufficiente, unito alla sua volontà di non spegnersi lentamente e di ritrovare nella conoscenza degli altri la forza e la vitalità, l’ha spinta ad adottate questa soluzione, che si è rivelata per lei di successo.

In questa nuova sistemazione ha ritrovato tutta la compagnia e l’affetto di cui aveva bisogno: ha di fatto costruito il suo nuovo nucleo famigliare.

Il co-housing in Italia oggi

Ad oggi, se è vero che il modello abitativo del co-housing è già diffusissimo tra i giovani, in particolar modo tra gli studenti universitari, è altrettanto vero che lo è molto meno tra persone ultrasessantacinquenni. Le motivazioni possono essere molteplici: spesso gli anziani hanno uno stile di vita e delle abitudini alle quali sono affezionati e che difficilmente abbandonerebbero; esistono poi diversi pregiudizi legati perlopiù alla tradizione italiana, che vorrebbe la cura e la socializzazione degli anziani completamente delegate alla famiglia; molti anziani potrebbero avere difficoltà a fidarsi di persone non appartenenti alla propria cerchia familiare; la società italiana è inoltre fortemente legata al concetto di proprietà della casa, che predilige rispetto ad altre soluzioni, come l’affitto.

I dati però ci dicono che un cambiamento, soprattutto culturale, è quantomai necessario. Secondo l’ISTAT, infatti, entro il 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani; pertanto, il vecchio sistema di cura e assistenza degli anziani basato interamente sulla famiglia rischia di implodere. 

Per questo motivo si devono sperimentare nuove soluzioni, in grado di garantire agli anziani tutta l’assistenza di cui hanno bisogno, senza però privarli della loro libertà: il co-housing, dunque, potrebbe rappresentare un valido compromesso e un’alternativa alle residenze assistenziali.

Bisogna poi notare che il modello di co-housing può essere adottato anche da persone che non possono o non vogliono abitare da sole; si pensi ai disabili e alle migliaia di persone non autosufficienti. Questa soluzione rappresenterebbe un vero e proprio antidoto all’isolamento, permettendo di far incontrare persone che condividono la stessa età o problematiche simili e che quindi saprebbero comprendersi e sostenersi vicendevolmente.

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