L’alleanza tra diabetologi e cardiologi per limitare gli effetti negativi

22 ottobre 2021 Salute e prevenzione
diabete e patologie cardiovascolari

I fattori di rischio cardiovascolare non aggiungono le potenzialità di danneggiare le arterie e mettere a rischio il cuore, le moltiplicano. Gli esperti del settore lo chiamano effetto moltiplicativo; secondo quanto riportato da la Repubblica, il vicepresidente della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare Massimo Volpe ha recentemente parlato di una “nuova dimensione della gestione terapeutica delle patologie cardiovascolari nel diabete e in particolare dello scompenso cardiaco", come è stato ripetutamente confermato dai risultati di grandi trial internazionali recenti apre spazi inesplorati all'alleanza tra cardiologi e diabetologi nella gestione di questa condizione che interessa quasi 4 milioni di italiani.

Il cuore delle persone con diabete merita d'altronde un'attenzione particolare, perché questa condizione raddoppia il rischio di incorrere in una patologia coronarica, in un ictus ischemico ed espone ad aumentata mortalità per cause cardiovascolari".

Come ridurre i rischi

Quello che ci dice il vicepresidente è sostanzialmente che bisogna contenere i rischi, ma in che modo?

Secondo il Presidente della Società Italiana di Diabetologia, Agostino Consoli, la risposta sta nella personalizzazione dell’approccio per “un controllo ottimale del colesterolo, dell'ipertensione, del peso e naturalmente della glicemia, soprattutto attraverso l'uso di farmaci di ultima generazione, come gli SGLT2-inibitori e gli analoghi di GLP-1 che, negli studi clinici, hanno dimostrato una grande efficacia nel ridurre i nuovi casi e i ricoveri per scompenso cardiaco e il rischio di mortalità cardiovascolare. Ed è per questo motivo che le società scientifiche europee di diabetologia (EASD) e di cardiologia (ESC) hanno indicato come primo step di trattamento delle persone con diabete ad alto rischio cardiovascolare la terapia con SGLT2-inibitori o con analoghi del GLP-1. Questi trattamenti sono particolarmente indicati per quel 30% delle persone con diabete che ha già presentato un evento cardio o cerebro-vascolare o è affetto da insufficienza cardiaca; purtroppo, ad oggi meno della metà di questi pazienti è in trattamento con queste terapie antidiabete innovative, veri e propri salva-cuore".

È ovvio che per ottenere questa tipologia di risultati è necessario che ci sia la massima collaborazione tra i diversi specialisti e che i pazienti in queste condizioni siano gestiti e curati contemporaneamente dal cardiologo e dal diabetologo. 

Come fare con i farmaci

Claudio Ferri, Ordinario di Medicina Interna all'Università de L'Aquila e direttore della Uoc di Medicina Interna e Nefrologia, presso l'Ospedale San Salvatore della città abruzzese ha segnalato, inoltre: "La prescrizione dell'aspirina a basso dosaggio  nelle persone con diabete di tipo 2  deve essere fatta sempre in prevenzione secondaria, cioè dopo che si sia verificata una malattia cardiovascolare, ma può essere fatta anche in prevenzione primaria, purché il paziente abbia almeno 50 anni e/o il suo diabete abbia una durata di almeno 10 anni o sia associato ad altri fattori di rischio o sia presente un danno d'organo (ad esempio a livello renale o cardiaco)".

È in questo panorama che trovano spazio non solo farmaci innovativi, ma anche alcuni caposaldi storici della prevenzione cardiovascolare, come l'acido acetilsalicilico. 

Come prevenire infarti, trombosi e ictus

L’iperaggregabilità piastrica è il target principale di questo approccio di collaborazione e, nello specifico, è la tendenza che porta le piastrine a legarsi l’una all’altra, favorendo le trombosi che stanno alla base di ictus e infarti.

Ovvio che questo approccio non vale per tutti, perché la somministrazione dell’aspirina in prevenzione primaria non viene più supportata dalle linee guida nella popolazione e nei soggetti diabetici con meno di 50 anni. Questo accade perché, nei soggetti a basso rischio, i possibili eventi indesiderati superano di gran lunga i benefici.

Perché assumere l’aspirina dopo l’ictus

Da quanto detto prima, è diverso il caso della prevenzione secondaria. A meno che non ci siano controindicazioni particolari dopo ictus o infarti, i soggetti fragili dovrebbero assumere l’aspirina o altro antiaggregante perché, come Ferri dice, “volendo semplificare in prevenzione primaria, l'aspirina può essere consigliata alle persone con diabete e un rischio cardiovascolare almeno "alto". Tuttavia, circa il 90% degli italiani con diabete ha un rischio cardiovascolare "alto" o "molto alto" (contro il 15-20% della popolazione generale, escludendo ovviamente i giovanissimi)”. 

Cosa rischia chi ha il diabete

Il livello di rischio di un paziente è strettamente collegato con la durata della malattia diabetica: per definizione, un paziente con diabete mellito di tipo 2 da almeno 10 anni manifesta un rischio molto più elevato. Oltre a questo, è sufficiente avere un altro fattore cardiovascolare, come ad esempio ipertensione, colesterolo alto o eccesso ponderale, per essere considerati soggetti nella fascia di rischio alto.

In ogni caso, nessun farmaco dovrebbe essere assunto senza il parere del proprio medico; per voi e per i vostri cari, affidatevi sempre alle cure di specialisti che conoscono in modo approfondito il vostro quadro clinico e sono in grado di fornirvi risposte su misura e, quindi, sicure ed efficaci.

 

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